venerdì 31 agosto 2007

Maxi colletta e referendum. I bolognesi dicono stop alla moschea

pubblicato sul quotidiano il Foglio in data 30-08-07

Maxi colletta e referendum. I bolognesi dicono stop alla moschea

Bologna. A Palazzo d’Accursio si prepara
il confronto che il 27 settembre decreterà
la fine o il (nuovo) inizio della grande
enclave islamica bolognese: data per certa
dopo l’accordo del maggio scorso, è stata rimessa
in discussione dopo la massiccia mobilitazione
dei cittadini e dei commercianti
della zona. La maxi moschea di seimila
metri quadrati dovrebbe sorgere alla periferia
della città nel 2008, ma il comune,
qualche giorno fa, ha fatto il primo passo
indietro: date le pressioni ricevute dalla
città ha deciso di ascoltare le ragioni dei
comitati di quartiere. Lo farà giovedì.
Le iniziative sono diverse e trasversali.
Decine di bolognesi portano avanti da giungo
una raccolta di firme per arginare l’avanzata
dell’Ucoii nella città. Al momento
sono circa 8.000 le adesioni raggiunte per
contrastare la creazione di uno spazio che
anziché integrare la comunità islamica larinchiude
in se stessa. Due giorni fa è arrivata
invece la proposta più provocatoria:

una grande colletta fra i cittadini per offrire
al comune il valore reale dei 52 mila metri
quadrati concessi al Centro di cultura
islamica con un maxi sconto e con una modifica
al piano regolatore realizzata ad hoc.
La movida negli uffici del comune è cominciata
nel mese di maggio, quando si è scoperto
che la giunta guidata dal sindaco Sergio
Cofferati aveva approvato la cessione di
un terreno, concesso al Centro di cultura
islamica di via Pallavicini. L’incontro ha
messo a verbale che la struttura di 6000 metri
quadrati sarebbe dovuta sorgere nel
2008, approvando la permuta di un vecchio
terreno posseduto dall’associazione musulmana.
Per gli islamici si trattava di un semplice
scambio – avevano spiegato al Foglio
nel maggio scorso – ma il terreno che avevano
ottenuto era molto più grande e il progetto
più ambizioso dell’attuale capannone
dove al venerdì si ritrovano per pregare.
Ora è spuntato pure il progetto per la
maxi moschea. Non è stato ancora messo
agli atti, ma i primi dettagli cominciano a
circolare e il comune si fa sempre più cauto,
con l’opposizione che assicura una dura
battaglia non appena riprenderanno i lavori.
L’impegno dei cittadini ha dunque portato
dei risultati: uno stop provvisorio che
sarà risolto entro un mese con un sì definitivo
alla costruzione della cittadella musulmana
– la moschea occupa seimila metri,
gli altri 46 mila saranno distribuiti secondo
necessità tra un angolo macelleria, una piscina,
un ufficio immigrazione e un’infermeria
conforme ai precetti dell’islam – o
con uno stop. I comitati cittadini hanno ottenuto
di essere ascoltati dalla commissione
Urbanistica del comune – il 12 settembre
– grazie a una nuova perizia realizzata
a luglio che evidenzia come ci siano alcuni
elementi ancora da chiarire in merito al
terreno. L’assessore all’Urbanistica, il Dl
Virginio Merola, ripete che le dinamiche
della cessione seguono le regole stabilite
per gli edifici di culto, ma sono gli stessi
musulmani a spiegare che accanto alla moschea
sorgeranno altre strutture ricreative
che non riguardano la preghiera.
Lo sconto era stato di 269 mila euro a
maggio, ma era stato calcolato su una perizia
commissionata dal comune che, secondo
i cittadini, non rappresentava il valore
reale del terreno: la cifra richiesta è un milione
e mezzo, mentre il valore commerciale
sarebbe di otto. Assieme alle nuove perizie
commissionate dai cittadini, a Palazzo
d’Accursio è giunto pure il malcontento di
alcuni membri della Confesercenti. La sede
bolognese sorge infatti a pochi metri
dall’area ex Caab dove potrebbe nascere la
cittadella islamica di Bologna. Il presidente
dell’associazione, Sergio Ferrari, ha organizzato
una serie di consultazioni con alcune
aziende della periferia. Giovedì prossimo
l’assessore ascolterà anche loro durante
l’incontro con gli abitanti della zona
per evitare che ogni venerdì quel quartiere
si trasformi in un perenne “motor show”.

giovedì 30 agosto 2007

La Carinzia vuol mettere al bando le moschee



n. 204 del 2007-08-30 pagina 10

La Carinzia vuol mettere al bando le moschee
di Redazione

Il governatore Haider: «Non tolleriamo costruzioni estranee alla nostra cultura»

La paura delle moschee sta contagiando l’Europa. Dopo Germania, Svizzera, Francia, Spagna, Grecia e le ultime proteste di Roma, è adesso il turno dell’Austria. Nel Paese la «questione dei minareti» è stata sollevata da Jörg Haider e, come succede ogni volta che apre bocca, le sue parole sono state riprese in patria e all’estero. Il leader dell’Alleanza per il Futuro dell’Austria e attuale governatore della Carinzia ha spiegato di non essere contrario ai luoghi di culto islamici, ma di non volerli nella regione da lui amministrata. «I musulmani hanno tutto il diritto di pregare - ha dichiarato -. Ma non tollero la costruzione di edifici che “sponsorizzino” il potere della religione islamica». Ai giornalisti Haider ha anche ribadito quello che da mesi va chiedendo: una normativa a livello nazionale che regolamenti la costruzione di moschee, con relativi minareti, e centri di cultura. Il suo ideale sarebbe che il Parlamento di Vienna mettesse al bando qualsiasi edificio di matrice islamica. Il motivo lo ha spiegato senza giri di parole: «Non vogliamo uno scontro tra culture e per questo non vogliamo istituzioni che siano estranee alla nostra di cultura, quella dell’Europa occidentale».
La sua posizione ha trovato il sostegno di Heinz-Christian Strach, astro nascente della formazione politica storica della destra austriaca, il Partito liberale. L’appoggio di Strach è un grande punto a favore di Haider: il poco più che trentenne medico viennese è cresciuto proprio sotto la stella dell’ex premier austriaco. L’alleanza si è poi interrotta nel 2005 quando Haider è stato espulso dal partito. Ora i due si ritrovano uniti nella stessa battaglia: fermare l’islamizzazione dell’Austria.
Le parole di Haider hanno scoperto un nervo molto sensibile: il Paese lamenta non soltanto il numero degli immigrati, ma teme l’imposizione di valori che con quelli austriaci non hanno niente a che vedere. Il governatore della Carinzia ha lanciato un appello affinché quando viene costruito un edificio di culto vengano considerate le «tradizioni culturali e religiose» del posto che lo ospita. Con undicimila musulmani su una popolazione di 400mila, la regione è una di quelle che ne ospita di meno. Eppure la paura è tanta.
Haider ha parlato di potere della religione islamica perché i residenti vedono nelle moschee, nei minareti e nei centri di cultura con le scritte in arabo, il dilagarsi della supremazia dell’islam rispetto alla religione cattolica, e con esso anche dei suoi valori. E sono proprio questi a spaventare. Adesso ancora di più dopo l’elezione in Turchia dell’islamico Abdullah Gül a presidente della Repubblica: l’Austria, dopo la Germania, è il Paese che ospita la maggiore comunità turca in Europa e Vienna teme l’arrivo dal Bosforo di un non gradito vento islamista.
Ma le proposte di Haider non si sono fermate ai soli edifici: ha chiesto un provvedimento per obbligare i gruppi religiosi a svolgere servizi alla comunità e pronunciare sermoni in lingua tedesca. Dall’altra parte gli ha fatto eco Strach, che ha sollecitato misure contro le manifestazioni estremistiche dell’islam, incluso il divieto di portare il velo a scuola, nelle università e in luoghi pubblici, oltre che l’espulsione per direttissima dal Paese dei religiosi estremisti.

"Il mio idolo è Oriana Fallaci: capì il pericolo musulmano"



n. 204 del 2007-08-30 pagina 10

"Il mio idolo è Oriana Fallaci: capì il pericolo musulmano"
di Redazione

Per l'alfiere della lotta al fondamentalismo, il Corano non è più religione ma ideologia

Aja - Geert Wilders, l’uomo politico più discusso in Olanda, ci riceve in Parlamento, nel suo studio, fuori dal quale ci sono ben quattro guardie del corpo. È affabile, deciso, ma per niente arrogante, come generalmente viene descritto dai media del suo Paese. Ha seguito le orme del regista Theo van Gogh, ucciso dai fondamentalisti islamici, ha lo stesso coraggio e gli stessi ideali per cui hanno ammazzato Pim Fortuyn. È sotto scorta da mattina a sera.

Signor Wilders, 177 nazionalità presenti in una sola città come Amsterdam non preoccupano?
«Certo, mi batto da anni perché il mio Paese possa tornare alla normalità».

Il suo partito si chiama Partito della Libertà. Libertà di.....
«Libertà di fare con i propri soldi quello che si vuole. Gli olandesi pagano troppe tasse, addirittura il 50%. Mentre si dovrebbe avere il diritto di disporre del proprio denaro, guadagnato con tanta fatica. E poi libertà di gioire di una bella giornata di sole e della vita, di girare per strada senza essere assaliti, derubati, picchiati. Soprattutto libertà di vivere nella propria nazione conservandone la cultura. Infine libertà di esprimere le proprie idee senza per questo essere costretti a girare sotto scorta perché vogliono metterti a tacere per sempre.

La stampa olandese parla ampiamente della decisione del vostro governo di stanziare 28 milioni di euro per far fronte al problema del radicalismo islamico e degli estremisti di destra. Questa somma dovrebbe servire a costituire centri di sostegno per i comuni più colpiti da questa piaga e per instaurare con integralisti e ultrà un proficuo “dialogo interculturale”. Che ne pensa?
«Un pessimo piano (del partito socialista, al governo con i cristiano-democratici del premier Pit Balkenende, ndr). Con loro il dialogo non serve più. Ci abbiamo provato per anni e non abbiamo ottenuto nulla. Anzi, la situazione è peggiorata. Con questo costoso progetto, assolutamente privo di concretezza, trattiamo i colpevoli come vittime. Basta con le parole, con la tolleranza. Si passi ai fatti».

In che modo?
«Prima di tutto se non rispettano le nostre norme, le nostre regole e la nostra cultura devono tornare da dove sono venuti. Se commettono crimini, vanno puniti severamente. Se dopo essere usciti di prigione ricominciamo a delinquere devono essere espulsi. Dobbiamo chiudere le frontiere, riappropriarci della nostra terra e usare invece questi fondi per i nostri vecchi, la sanità, per accudire gli handicappati».

La sua dichiarazione sul fatto che il Corano andrebbe proibito come il Mein Kampf di Hitler ha suscitato molte polemiche, accuse contro di lei, anche da parte degli altri partiti al governo. Non ha forse esagerato con questa che è parsa una provocazione inaccettabile nei confronti di una religione?
«Il Corano è un libro fascista, aggressivo, che semina odio. Non voglio discriminare o provocare, dico solo che la violenza che trasuda dai testi islamici non la si trova in nessun’altra religione: né cattolica, né ebraica, né buddhista. Diciamo piuttosto che il Corano è più un’ideologia che una religione. Non ce l’ho con l’islam, con i musulmani come persone, ma appunto con un’ideologia che vuole privare l’uomo della libertà, che non rispetta le donne, che vuole eliminare gli omosessuali. Il mio idolo è Oriana Fallaci: lei aveva capito la pericolosità dell’invasione islamica! Come lei odio il relativismo, cioè il voler credere che ogni cultura sia la stessa, perché non è
vero.

Olanda, chi critica l'Islam rischia la decapitazione



n. 204 del 2007-08-30 pagina 0

Olanda, chi critica l'Islam rischia la decapitazione

di Redazione

La politica delle porte aperte ora preoccupa i Paesi Bassi. Molti politici sotto scorta per i loro discorsi contro l'integralismo. Parla l'alfiere della lotta al fondamentalismo, il parlamentare Wilders: "Oriana Fallaci capì il pericolo musulmano"

Maria Cristina Giongo

Aia - Amsterdam dovrebbe essere inserita nel Guinness dei primati per il numero di nazionalità presenti nel suo territorio: 177. Il più alto nel mondo. Ha battuto persino New York, con le sue 150. Senza contare che 123mila dei suoi abitanti hanno la doppia cittadinanza. Questi dati stanno preoccupando sempre più gli olandesi che sino a ora sono stati molto tolleranti e generosi nei confronti degli immigrati, aprendo loro le porte e offrendo loro un tetto. Case pulite, dotate di tutto il necessario per una vita dignitosa: sussidi da far invidia a un lavoratore di qualsiasi Paese. D’altra parte le cifre parlano chiaro: attualmente ad Amsterdam ci sono 64.588 marocchini e 37.421 turchi. Tanto per fare un paragone, gli italiani sono 1.654 e i tedeschi 6.670.

Il primo a ribellarsi a questa «vera e propria invasione » fu il regista Theo van Gogh. Cercò in tutti i modi di attirare l’attenzione dei media sul pericolo della culturanon cultura islamica e dei suoi terroristi. Del suo film Submission si è parlato in tutto il mondo. Soprattutto perché segnò la sua condanna a morte. «Ci elimineranno tutti », ripeteva spesso. E tre anni fa l’hanno ammazzato come un cane, per strada, lasciando un biglietto sul suo corpo, conficcato nella schiena con un coltello. Anche la sceneggiatrice di Submission è diventata «famosa». Parliamo della bella somala Ayaan Hirsi Ali, considerata un’eroina per la lotta che conduce a favore dei diritti delle donne islamiche, deputata del Partito popolare per la libertà e democrazia (Vvd). Ayaan Hirsi ha definito il profeta Maometto «un perverso tiranno ». Per cui pure lei si trova da tempo nella lista nera dei condannati a morte per blasfemia. «Non ho paura di morire - dice -, vengo da un Paese dove ogni giorno ci si confronta con le malattie, la fame, il degrado, la morte. Ci sono abituata. Pertanto continuerò la mia lotta».

C’è un’altra donna del Vvd che da anni si batte per la chiusura delle frontiere, Rita Verdonk, 52 anni, cattolica, che è stata dal 2003 al 2006 ministro dell’Immigrazione. È stata definita la «donna di ferro» proprio per la sua intransigenza nei confronti degli immigrati. Nel 2005 ha fatto approvare una legge molto importante sull’integrazione degli stranieri, grazie alla quale sono stati istituiti corsi obbligatori di conoscenza della lingua olandese e dell’organizzazione sociale per coloro che vogliono ottenere un regolare permesso di soggiorno. Nel suo partito ha militato Geert Wilders, di recente salito alla ribalta delle cronache per aver paragonato il Corano al Mein Kampf di Adolf Hitler, chiedendo al Parlamento che venga proibito «in quanto si tratta di un libro dannoso che istiga alla violenza».

Wilders non usa mezzi termini: «Chiudiamo le moschee radicali, mandiamo a casa gli imam e fermiamo l’immigrazione dei Paesi non occidentali, prima che sia troppo tardi. È incredibile quello che sta succedendo in Olanda. Eppure la tv ha mandato in onda una ripresa girata in segreto nella moschea diAmsterdam “al Taweed”, mentre l’imam diceva che gli amici della democrazia erano figli di satana, le donne dovevano essere bastonate e gli omosessuali buttati giù dai tetti. E noi dobbiamo tenerci in casa questi fanatici? Fuori tutti i gruppi estremisti islamici dal nostro Paese».

In quanto a minacce... pure lui ne ha accumulate una serie infinita: alcuni siti internet radicali hanno lanciato una vera e propria campagna pubblicitaria a favore della sua eliminazione. Si passa dall’elargizione di un premio di ben 92 vergini alla promessa del paradiso eterno e dell’eterna riconoscenza di Allah nei confronti di «qualsiasi islamico disposto a decapitarlo ». Secondo alcuni Wilders ha ereditato il pensiero di Pim Fortuyn, leader del partito Leefbaar Nederland. L’aggettivo olandese leefbaar, «vivibile », è già di per sé molto significativo. Fortuyn, che voleva un’Olanda vivibile, fu ucciso il 6 maggio 2002, all’uscita degli studi televisivi dove aveva registrato un programma contro il proliferare del radicalismo islamico. Nella lista dei condannati a morte è entrato da poco anche Ehsan Jami, un ragazzo iraniano di 28 anni che ha fondato un comitato di ex musulmani.

«Il Corano non è credibile. È anacronistico. Se vieni dal mondo islamico non vuol dire che devi per forza essere musulmano», ha detto Jami durante un recente dibattito tv. «Essere musulmano non è un fattore genetico. Con la creazione di questo comitato voglio dire ai giovani che, come me, amano la libertà, di uscire allo scoperto e di ribellarsi a una religione imposta, incivile, inumana».Un discorso coraggioso. E pericoloso. Il giorno dopo, infatti, è stato assalito da tre africani all’uscita di un supermercato e picchiato a sangue.

Verbale riunione 27-08-07 - Comitato dei Garanti per i referendum

In data 27-08-07 vi è stata una riunione del Comitato dei Garanti per i referendum comunali di cui mettiamo a disposizione il verbale qui seguente.


Verbale n. 2

Comitato dei Garanti per i referendum comunali

Oggi 27 agosto dell’anno 2007, alle ore 12,30 presso la Sala Bianca del Comune di Bologna, si è riunito il Comitato dei Garanti per discutere sui quesiti referendari posti all’Odg: “Il Metrò che vorrei” e “Permuta terreni”.

Sono presenti i Signori:

Prof. Avv. Piergiovanni Alleva, componente

Prof.ssa Giovanna Endrici, componente

Prof. Avv. Antonio Carullo, componente

Prof. Avv. Roberto Nania, componente

Prof. Avv. Girolamo Sciullo, componente

Svolge le funzioni di segretaria verbalizzante la Dott.ssa Giusi Di Giunta.

Il Comitato prende atto della regolarità della propria costituzione, conformemente alla deliberazione consiliare ODG. 68 dell’11/04/2005 e alla delibera odg. 192/2007 del 27 luglio u.s..

Il Comitato procede poi alla nomina del Presidente e conferma il Prof. Avv. Antonio Carullo.

Successivamente si procede all’audizione del Comitato promotore de “Il metrò che vorrei”, nelle persone dell’Ing. Daniele Corticelli e Avv. Antonino Morello, i quali chiedono la fissazione di un termine per la presentazione di memorie illustrative, e chiedono altresì l’acquisizione del fascicolo relativo al quesito referendario precedentemente presentato dal medesimo comitato promotore.

Si procede poi all’audizione dei delegati del Sindaco, nelle persone dell’Assessore Virginio Merola, Avv. Maria Rosaria Russo Valentini e l’Ing. Cleto Carlini del Settore Mobilità del Comune, i quali depositano nuovi documenti con relativo elenco chiedendo parimenti l’acquisizione del fascicolo relativo al precedente quesito e chiedendo termini per la presentazione di memorie illustrative.

Quindi vengono uditi i rappresentanti del Comitato promotore “Permuta terreni”, i quali illustrano le proprie posizioni esprimendo la disponibilità ad essere riascoltati in una successiva giornata unitamente al Sindaco o suo delegato, che con lettera che qui si allega ha – in data odierna – avanzato la richiesta di un termine per una audizione al riguardo e per il deposito di documenti e memorie.

Terminate le audizioni il Comitato decide all’unanimità:

di acquisire al presente procedimento i fascicoli relativi al precedente quesito referendario “Il metrò che vorrei”

di dare quale termine per le memorie di entrambi i referendum :

· il 3 settembre 2007 alle ore 14 per la prima memoria;

· il 9 settembre 2007 per la seconda memoria.

Fissa altresì la nuova riunione per il 12 settembre c.a., con il seguente calendario:

· ore 12 riunione del Comitati dei Garanti,

· ore 12,30 conclusioni orali dei promotori e dei delegati del Sindaco per il quesito “Il metrò che vorrei”;

· ore 13,30 per le conclusioni orali dei promotori del quesito “Permuta terreni”

prosecuzione dei lavori del Comitato dei garanti.

La riunione si conclude alle ore 16,15.

Il Presidente

F.TO Prof. Avv. Antonio Carullo

I componenti:

F.TO Piergiovanni Alleva

F.TO Roberto Nania

F.TO Giovanna Endrici

F.TO Girolamo Sciullo

Il verbalizzante

F.TO Giusi Di Giunta

Incontro mercoledì 19 settembre - Luci e ombre sul futuro

BOLOGNA: settembre 2007 - CONFERENZA NO ALLA MOSCHEA PERCHE’ - Ciò che gli italiani devono sapere:

riceviamo e volentieri pubblichiamo

Presidenza nazionale - Milano

mail presidenza@oddii.eu - sito www.oddii.eu

BOLOGNA: settembre 2007 - CONFERENZA NO ALLA MOSCHEA PERCHE’

Ciò che gli italiani devono sapere:

Per i musulmani il progetto religioso di Maometto è tutt'uno con il progetto politico e scopo e fine ultimo di questo progetto è la totale islamizzazione dei Paesi in cui i musulmani vivono, e in quelli che vanno ad occupare.

Ne consegue che questo sistema è in antagonismo con quello occidentale, per il quale lo Stato e la Religione occupano due spazi ben distinti le Costituzioni Nazionali ne sanciscono la separazione, che con l’avvento delle immigrazioni massicce di musulmani vengono messe in discussione e non raramente violate.

È questo, per noi occidentali democratici il grande problema:

- se nell'Islam società, politica, cultura e religione,sono un tutt’uno, come vivere in un sistema musulmano che ha come fine l'islamizzazione di tutti gli aspetti della vita? -

La difficoltà maggiore certamente risiede nel fatto che i non musulmani sono considerati dhimmi, e devono vivere in uno stato di sudditanza, che prevede la loro esistenza all'interno dell'Islam, sotto forma di protettorato, senza il diritto all'autodeterminazione e debbono pagare una tassa aggiuntiva la “jizah" (tassa di sottomissione dei non musulmani ai musulmani) e come sovrappiù vengono invitati in tutti i modi possibili e non sempre accettabili a convertirsi all'Islam, mentre è impossibile il contrario, poiché viene rappresentato come il peggior reato contemplato dalla legge islamica, punibile anche con la morte.

Altra difficoltà è il poter esprimere liberamente le proprie opinioni sull’islam, così come fino ad oggi siamo stati abituati a fare, parlando di ogni altra religione, quella islamica è diventata tabù e in alcuni casi è costata la vita a chi si è permesso di mettere in dubbio i suoi valori.

Coloro che sono favorevoli al dilagare acritico di moschee e centri islamici nel Paese, sostengono di difendere libertà e diritti degli immigrati chiamandolo multiculturalismo, dimenticando che nell’islam il multiculturalismo non esiste, vi è posto solo per il pensiero unico, e non comprendere che il suo dilagare significa uccidere il multiculturalismo, corrisponde a fare un salto nel medioevo.

La prova di tutto questo risiede nel fatto che nessun paese islamico ha accettato la carta dei diritti dell’uomo, e Il separatismo fra uomini e donne, oggi ha assunto una connotazione visibile persino nelle nostre strade, come scopriamo che alle donne viene negato il diritto all’autodeterminazione: non possono scegliere lo studio, il lavoro, chi amare e sposare, lo sport, gli abiti, indossare un costume in spiaggia, e se cambiare o meno la propria religione. Non è un mistero che dietro a tale illiberale concezione della vita vi è una persecuzione continua che tiene in soggezione e schiavizza ferocemente metà del mondo umano, quello femminile, e non abbiamo più voglia di dover continuamente rinfrescare la memoria attraverso scene di degrado e di dolore, che troppe donne stanno vivendo e che non raramente confluiscono nella tragedia, come non si può accettare in Italia la poligamia, perché lede i diritti della donna.

E’ troppo comodo accusarci di razzismo, se mettiamo in discussione e rifiutiamo questi concetti illiberali, i veri razzisti sono gli islamici fondamentalisti e integralisti, che hanno tracciato un disegno di società suddiviso in caste di appartenenza, sia sessuale, che religiosa, che culturale e che prevedono ancora la schiavitù. La dimostrazione di questo razzismo costituzionale sta nella mancata attuazione della RECIPROCITA’ – a tutti i livelli - in nome di una presunta superiorità ideologica che dimostra quanto sia infarcito di razzismo l’islam, che si sta imponendo in Italia.

L’ Islam oggi è suddiviso in più confessioni religiose, ma in Italia si sta imponendo con la prepotenza una sola su tutti: la SUNNITA, con sede in Arabia Saudita, rappresentata in Italia da coloro che operano sotto la sigla U.C.O.I.I. che si attengono alla corrente interna: il wahabismo, che da un’interpretazione fondamentalista ed estremista del Corano, che assume l’aggettivo di: salafita. (cioè integralismo islamico)

L’altra corrente emergente è quella SCIITA che ha il suo domicilio in Iran e che Khomeini ha riportato all’onore delle cronache inventando i primi martiri shaid e gli uomini bomba.

Entrambe queste dottrine sono spaventosamente estremiste, razziste e contemplano la guerra santa, anche contro la popolazione inerme.

Gli attentati terroristici nel mondo, sono la prova inconfutabile.

Gli italiani vogliono crescere assieme agli islamici, condividere la quotidianità, non hanno preconcetti e desiderano permettere loro di integrasi nella società italiana, ma sono anche consapevoli che deve avvenire nel rispetto dei propri diritti, quello dei doveri, della libertà e della democrazia, delle regole sociali e della fede, nulla escluso.

Il separatismo è inaccettabile, la legge islamica “sharjia” non può e non deve essere applicata nei tribunali italiani e nelle comunità che vivono in Italia, questo è l’unico motivo per cui si dice NO alla crescita indiscriminata di moschee e centri islamici.


Adriana Bolchini Gaigher

Presidente nazionale O.D.D.I.I. e direttore responsabile Lisistrata

I CINQUE PILASTRI DELL’ISLAM:

SHAHADA (La Testimonianza di Fede)

SALAH (La Preghiera)

ZAKAH (L'Elemosina)

SAWN (Il Digiuno)

HAJJ (Il Pellegrinaggio)

-Come potete vedere il velo non è un pilastro, rappresenta un simbolo esteriore di distinzione, che vuole imporre una supremazia ideologica, è razzismo puro che crea separatismo, fra i sessi e fra le comunità.

-La conversione obbligatoria non è un pilastro, ma un’arroganza che gli uomini hanno aggiunto alla testimonianza di fede e noi non possiamo accettarlo.

Moschea, Malagoli (PRC) chiede aiuto alla Curia

pubblicato sul Resto del Carlino del 29-08-07

Siamo sicuri che la Curia di Bologna non esiterà ad aiutarli magari concedendo qualche cappella laterale di San Pietro per la preghiera del venerdì, in ossequio al dialogo inter-religioso, o magari perchè non dividere a metà San Pietro (ben raramente piena di fedeli) e ivi impiantarvi la moschea?


Corriere della Sera 29-08-07 Colletta anti moschea imprenditori allo scoperto

pubblicato sulla cronaca di Bologna del Corriere della Sera del 29-08-07





Ecco la cordata anti-moschea - "I primi 1,5 milioni li metto io"

pubblicato su Repubblica

Ecco la cordata anti-moschea
"I primi 1,5 milioni li metto io"

di Silvia Bignami
Il capofila è Gregorio Matteucci, con lui anche Pirazzini e Gianluca Viaggi
Esce allo scoperto la cordata di imprenditori e residenti «seriamente interessata» all´acquisto dei 52mila metri quadri nell´area Caab destinati dal Comune alla nuova moschea. E spunta anche il nome di LegaCoop. A farlo è Gregorio Matteucci, imprenditore agricolo «confinante», vicepresidente della Cooperativa Agricola Cesenate (associata a LegaCoop) e capofila del cartello: «Coinvolgere la Lega delle Cooperative sarebbe interessante. E´ una strada che seguirò».

Con lui ci sono già Luca Pirazzini, imprenditore nella produzione di articoli sportivi e proprietario della vicina Villa Clelia. Enzo e Liliana Montanelli, che possiedono l´Hotel 4 stelle Green Park e Abm giocattoli. E ancora Gianluca Viaggi, imprenditore tessile. Oltre che numerosi residenti «minori», che mirano a estendere di qualche metro giardino o interessi. Tutti insieme si sono riuniti ieri sera a casa di Matteucci per mettere a punto una strategia comune. «Cosa potremmo fare dei 6mila metri edificabili del terreno? Sviluppo integrato». Vale a dire villette, negozi, centri commerciali.

Un affare che prende forma, insomma. Al di là e oltre il discorso puramente ideologico. «Non è solo il fatto che non vogliamo gli islamici» spiega Matteucci. «Il fatto è che noi cittadini avevamo già chiesto, sia con la giunta Guazzaloca che con Cofferati, di entrare in possesso di parte di quel terreno». Niente da fare, l´amministrazione aveva risposto sempre picche. «Ora improvvisamente ci dicono che il Comune ha assegnato l´area al centro islamico, valutandola solo 1milione e mezzo di euro, quando invece i 5 ettari varrebbero circa 8 milioni di euro». Il discorso a questo punto diventa economico: «Fare una offerta nostra ci pare logico». Una colletta insomma, dove però ognuno è chiamato a mettere a seconda delle proprie possibilità: «Io da solo - ammette Matteucci - insieme a un socio costruttore, potrei mettere tutta la cifra di un milione e mezzo che il Comune ha valutato, e pure qualcosa di più. Sempre a patto di poter utilizzare quell´area per una vera riqualificazione del quartiere». Vale a dire per portarci commercio, trasporti e case.

Matteucci, figlio di Nicola Matteucci e proprietario di una grande villa proprio di fronte ai cinquemila metri quadri «regalati» agli islamici, non nega nemmeno di voler coinvolgere LegaCoop: «Sono socio. Sarebbe una grande cosa se si interessasse». Una operazione puramente economica insomma, sulla quale l´imprenditore non accetta «cappelli» politici. E mentre Silvia Noè (Udc) cavalca l´iniziativa definendo l´intero affaire-Moschea «un danno economico» per i cittadini, Matteucci avverte: «La Lega ne ha parlato per prima. Ma questa proposta di acquistare il terreno c´è da tempo tra noi residenti. Non è una idea loro». Con lui ci sono piccoli e grandi. Piccoli come Silvia Facchini, proprietaria di una villetta in via San Donato: «Da anni chiediamo al Comune di poter ampliare il giardino. Non ci hanno mai risposto». O come Antonio Pingaro, proprietario dell´officina meccanica San Sisto, anche lui ansioso «di ampliare l´attività».

Ma ci sono anche nomi di peso. Ad esempio quello dell´imprenditore dei tessuti Luca Pizzirani, che affitta la sua Villa Clelia, proprio sul ciglio dell´area destinata alla Moschea, per matrimoni e ricevimenti. «Ampliare il parco ci piacerebbe» racconta la moglie Elena Rizzi. Che attacca: «L´Ucoii ottiene questi cinque ettari, che valgono più di 1 milione e mezzo di euro, in cambio di uno stabile in viale Felsina che qualche anno fa pagò solo 90mila euro. Se non è una speculazione e un favoritismo questo». Più cauta Liliana Montanelli, del Green Park Hotel alle soglie di Quarto Inferiore: «Abbiamo partecipato alle riunioni di Matteucci. Non abbiamo ancora deciso. Ma certo siamo disponibili a parlare di una offerta». Intanto comunque il cerchio si allarga. Il comitato civico anti-moschea raccoglie adepti. «A essere interessati saranno tanti».

mercoledì 29 agosto 2007

Conferenza audio: che cosa è l'islam a cura del Dott. Jean Alcalder

la conferenza è stata pubblicata sul sito podcastorthodoxe.blogspot.com

Faremo una colletta per comprare l'area destinata alla moschea

pubblicato sul Resto del Carlino del 28-08-07


"Moschea, a noi il terreno"

pubblicato sul sito dell'Espresso

Maxi colletta per offrire a Palazzo d´Accursio un euro in più del valore stimato.
Al posto del tempio vorrebbero un grande parco

"Moschea, a noi il terreno"

Silvia Bignami
Un cartello di residenti vuole acquistare l´area al Caab
"Quella zona vale otto milioni, il Comune la valuta uno e mezzo. Per noi è un affare prenderla"
Sono pronti a tutto per impedire la costruzione della moschea nell´area ex-Caab. Anche a mettercene di tasca propria e ad acquistare i 52mila metri quadri di terreno, di cui solo 6mila edificabili, che il Comune ha ceduto in permuta al Centro di cultura Islamica. Loro sono un cartello di residenti confinanti con l´area dove dovrebbe sorgere il nuovo minareto con annessa cittadella islamica. Dieci, dodici persone per ora - «ma i soldi li abbiamo», assicurano - pronti a fare una maxi-colletta per offrire al Comune un euro in più del valore stimato da Palazzo D´Accursio per il terreno: 1 milione e mezzo di euro. Per farci cosa? «Un grande parco pubblico, per esempio. O, se verrà modificato il prg che destina quel terreno a insediamento agricolo, anche edifici negozi». Il tutto con la benedizione della Lega Nord, promotrice del referendum anti-moschea. «Appoggiamo in pieno l´iniziativa - esulta il presidente federale e segretario del Carroccio in Emilia Angelo Alessandri - e magari potremmo coinvolgere anche la Chiesa».
Una sfida, insomma, a metà tra provocazione e business. Un´idea «molto seria», garantiscono i «confinanti». Ieri il capofila della cordata, Gregorio Matteucci, ha formalizzato la proposta davanti al comitato dei garanti, che entro 30 giorni dovrò decidere sull´ammissibilità del quesito referendario contro il progetto-moschea. «Quel terreno - spiega Matteucci - vale 8 milioni di euro. Mentre il Comune lo ha valutato solo 1 milione e mezzo». A questo prezzo «è un affare comprarlo, e ci mettiamo in lizza anche noi. Così si vedrà se si voleva fare un favore agli islamici oppure no». Una proposta tanto seria che il comitato si dice pronto a inserirla anche in una eventuale riformulazione del quesito, «se i garanti ce la chiederanno».
Una boutade di cui comunque va verificata la fattibilità. «Non voglio nemmeno commentare» risponde gelido l´assessore all´urbanistica Virginio Merola. Secondo i tecnici comunali infatti il valore del terreno è stato dimezzato in quanto l´area è destinata ad attrezzatura religiosa. Un punto che però i residenti contestano: «L´Ucoii non è un ente religioso. E la moschea occuperebbe solo 1000 dei 6mila metri quadrati di terreno. Il resto sarebbero strutture come scuole, piscine, centri di accoglienza». Plaude la Lega Nord: «Diciamo sì a questa ipotesi - conferma il deputato Gianluca Pini - anche se la metteremo in campo solo se non passa il quesito referendario».
Va avanti infatti la discussione sul referendum. Ieri i garanti hanno sentito le ragioni del comitato. Le conclusioni, con la memoria difensiva del Comune, arriveranno il 12 settembre, mentre il verdetto è atteso entro il 27. Intanto comincia la campagna informativa, con 16mila volantini della Lega Antidiffamazione Cristiana che stanno per piovere su San Donato. E si muovono anche gli imprenditori. Ambienti vicini a Confesercenti, che ha sede proprio nell´area ex-Caab, parlano di «viva preoccupazione» per l´insediamento della nuova moschea. Il presidente Sergio Ferrari ha avviato nell´ultimo mese consultazioni con aziende e imprese della zona: «Diremo la nostra il 6 settembre, all´incontro in quartiere con l´assessore Merola».

martedì 28 agosto 2007

Islam e Cristianesimo. Una parentela impossibile

pubblicato su Ragionpolitica.it


Jacques Ellul

Islam e Cristianesimo. Una parentela impossibile

recensione di Mario Secomandi - 18 agosto 2007

Jacques Ellul, brillante intellettuale e teologo francese, morto qualche anno fa, nella sua

opera postuma Islam e cristianesimo. Una parentela impossibile ci mette in guardia dall'idea,

prevalente nel ceto intellettuale europeo, secondo cui sarebbe giunto il momento in cui la religione di

Maometto e quella di Cristo possono incontrarsi, convivere pacificamente e rapportarsi vicendevolmente

all'insegna del buonismo ideologico e del pacifismo utopistico. Le cose non stanno così. Certo, l'Europa

versa in uno stato di piena eclissi di valori, che si riverbera anche a livello culturale e politico: la morale

e l'etica sono in crisi e non si ha vera fiducia nel futuro. Da qui una sensazione di profondo

smarrimento, che si traduce anche nell'attuale vistoso calo demografico. Ci si rifiuta di attingere alle

grandi fonti storiche che sono compendiate dalla tradizione greco-romana e dalle radici

giudaico-cristiane. Di contro, l'Islam si presenta come religione in netta espansione. Ciò lo si vede dalla

sua propensione a diffondersi a macchia d'olio in terra europea, con ondate massicce di immigrati che si

stabiliscono nel Vecchio Continente in gruppi chiusi verso l'esterno ma inquietantemente coesi al proprio

interno. L'abbaglio che rischia di prendere più o meno consapevolmente l'Europa sulla scia di tale

approccio ideologico è quello di fare come gli struzzi, mettendo la testa sotto la sabbia, consentendo

alla presenza islamica in Europa di divenire sempre più consistente numericamente.

Mettiamo le mani avanti: qui non c'entrano né il razzismo né la xenofobia. E' solo la presa

d'atto della necessità di reagire alla crescita e all'espansione del movimento politico-religioso islamista

radicale, che con prepotenza ed a testa alta è davvero convinto di diventare, nel giro di pochi lustri,

maggioranza di fatto nel continente europeo, per poi, in un secondo momento, imporre a tutti i suoi

cittadini il proprio sistema totalizzante, in netta opposizione alla visione giudaico-cristiana, che

contempla come propri cardini la laicità dello Stato, la libertà, la dignità della persona umana e la

sacralità della vita.

Ma l'acume dell'analisi di Ellul non si ferma qui. E' interessante osservare come essa smonti,

pezzo dopo pezzo, i (falsi) pilastri su cui poggia quell'approccio che ritiene possibile una parentela tra

Cristianesimo ed Islam. Non è vero che «siamo tutti figli di Abramo», non è vero che abbiamo la stessa

concezione di monoteismo e non è vero che siamo accomunabili dall'essere entrambe le «religioni del

Libro»: la Bibbia ed il Corano, se confrontati, presentano così tante distonie da rendere Cristianesimo

ed Islam inconciliabili. Andiamo con ordine.

Dire che «siamo tutti figli di Abramo» di per sé non significa nulla. In base a ciò che sta scritto negli

stessi Vangeli, possiamo per converso sottolineare come non conti la comune discendenza carnale,

in quanto figlio di Abramo è invero «chi compie il bene», chi fa la volontà di Dio ed ha una fede

anche messa in pratica per il tramite delle opere. E non pare che, a tal riguardo, vi sia così tanta

compatibilità e coincidenza tra i precetti del Corano e le azioni di Abramo.

1.

Dire «tanto siamo tutti monoteisti» rappresenta una generalizzazione ipocrita ed inaccettabile.

Anzitutto tutti possono genericamente parlare di Dio o discettare di un'entità suprema che sta sopra

di noi. Il Dio cristiano e l'Allah islamico poi sono diversissimi. Mentre il Dio del Cristianesimo si fa

uomo e ama la creatura nella grazia e nella libertà per condurla alla salvezza, Allah è

assolutamente trascendente a si presenta come un «sovrano inaccessibile», che non ama, non

redime e non si mette in relazione con l'uomo donandogli un «cuore nuovo». Nell'Islam regnano il

timore e la rassegnazione, la paura e la sottomissione. Inoltre, il musulmano considera il

Cristianesimo alla stregua di religione non monoteista proprio perché quest'ultimo si basa sul

dogma della Trinità. Il fondamento della religione cristiana è difatti la figura di Gesù Cristo, che è

l'incarnazione di Dio. Per l'Islam costituisce vera e propria bestemmia ed obbrobrio il fatto che Dio

2.

RAGIONPOLITICA.it - Islam e Cristianesimo. Una parentela impossibile http://www.ragionpolitica.it/testo.8185.html

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si sia fatto uomo e sia morto in croce. L'Islam è dunque religione anti-cristiana (se non proprio,

rebus sic stantibus, anticristica).

Si dice che Islam e Cristianesimo sono le «religioni del Libro». Si tratta però di due libri totalmente

diversi: il Corano è «dettato» a Maometto, la Bibbia è stata invece scritta da vari autori «ispirati»

da Dio e descrive il cammino di Dio verso l'uomo, il quale diviene destinatario di una promessa

d'amore, di libertà e di salvezza. Nel Corano prevalgono, al contrario, l'obbligo e la «costrizione

definitiva». Al Dio che soffre vicino all'uomo (Cristianesimo) si contrappone la «solitaria maestà» di

Allah.

3.

Ora, dal momento che l'Islam fondamentalista ha per prossimo obiettivo quello di divenire

superpotenza economica, militare e politica, occorre che si sappia che la dottrina e le

pratiche con cui esso regola i rapporti con i non musulmani si traducono nell'applicazione dello

stato di «dhimmitudine» per questi ultimi. Il «dhimmi» è «colui il quale vive in una società musulmana

senza essere musulmano». Dunque in tale quadro i cristiani (così come gli ebrei) sono «dhimmi». In

altri termini, ai cristiani che vivono nei Paesi islamici è concessa graziosamente una sorta di «status di

protezione», ciò che si accorda ad un cittadino considerato di serie B. Ciò reca profonda offesa sia alla

legge naturale che ai diritti dell'uomo: secondo il diritto islamico, nella società islamica il non

musulmano non gode di diritti propri per il solo fatto di esistere. C'è poi da dire che episodi di

persecuzioni, violenze, minacce, torture sono cose che sono accadute e continuano ad accadere

comunque nei Paesi islamici nei confronti dei non musulmani, nonostante suddetto «status di

protezione».

L'Islam radicale, che sta dando vita ad un movimento mondiale totalitario, ha dimostrato di

non sapersi evolvere dal punto di vista del rapporto complessivo con i non musulmani; esso

è terribilmente coerente, totale e «fisso». Questo nuovo totalitarismo consiste nel far discendere come

tasselli dal mosaico islamico la religione, la politica, il diritto, la cultura, il sociale e la morale, alla

stregua di parti del tutto. La dottrina politica islamica prevede infine il jihad, che assume i connotati non

solo di una lotta interiore di ogni buon musulmano per il miglioramento spirituale del proprio io, ma

anche della guerra santa contro i nemici, che sono gli infedeli, fra i quali spiccano ebrei e cristiani.

L'Europa si deve perciò destare dal torpore del relativismo e del nichilismo. Essa deve prendere

consapevolezza che, se non vuole soccombere, deve riappropriarsi delle armi politiche e culturali della

laicità delle istituzioni, della centralità della persona umana e della sacralità della vita, tutti elementi

portanti della nostra civiltà occidentale che hanno alla base proprio il Cristianesimo.

Mario Secomandi

secomandi@ragionpolitica.it

Martiri di Otranto una precisazione sull'articolo

sull'articolo dei Martiri di Otranto ricevo questa corrispondenza privata da parte del Dott. Q che pubblico nei paragrafi d'interesse pubblico


Qualche precisazione: le decapitazioni del 1480 avvennero tutte per spada e con un colpo netto, come fanno fede le vertebre cervicali ancor oggi visibili inisieme agli altri resti (alcuni anche di tessuti molli incorrotti) da chiunque nell'ossario della Cattedrale di Otranto, e la pietra che servì da ceppo; quindi in un modo più "umano", se così lo si può definire, rispetto agli sgozzamenti attuali.

Quindi per lo meno gli Ottomani trattarono i prigionieri in modo militare, religiosamente conforme (nel loro empio sistema di riferimento) e, per l'epoca, anche "umanitario" (la decapitazione giudiziaria era ovunque riservata ai nobili, proprio perchè ritenuta una morte rapida e dignitosa, al contrario dello strozzamento, dell'impiccagione e quant'altro: vedi il caso del Diritto Romano e di San Paolo, di Anne Boleyn, di Mary Stuart, di James I, Louis XVI, etc....: lista lunga, sfortunatamente), lasciando a loro la possibilità di decidere sul proprio destino, non
facendolo dipendere da azioni e decisioni altrui, su cui i prigionieri
non avessero alcuna possibilità di influire. Prigionieri, dunque, gli
otrantini, ed in un'epoca senza la Convenzione di Ginevra; ostaggi,
invece, gli occidentali in Iraq. Pensi che sia autorizzato a concludere
che l'Islam di oggi sia più barbaro di quello di ieri?
Alla fine di quella giornata un convertito, comunque, ci fu e fu il boia turco,
scosso dalla fermezza degli otrantini; il suo nome, per la cronaca, era
Berlabey, così come quello del condottiero turco era Achmet Pasha.
Almeno i nomi, gli editorialisti cattolici li potrebbero scrivere
giusti!
Attenzione poi a non "santificare" la posizione di Venezia: il Senato veneziano diede la sua disponibilità ad aiutare Otranto in cambio di concessioni commerciali e territoriali nella penisola salentina. Alla faccia dello spirito cristiano veneziano!
Tutte le Repubbliche italiane, compreso il papa, erano sensibili solo al proprio

tornaconto politico ed economico, e della religione se ne fregavano, all'occorrenza!
Lo spirito vero di Crociata sul finire del XV secolo era ben lontano: basta rileggere la storia della caduta di Costantinopoli e della pelossissima pseudo-Crociata successiva.

.......
Le mie (considerazioni)
sono che la santità di quella gente era evidentissima da subito e che
essa non è stata garantita e proposta alla venerazione ed alle
preghiere di tutto il popolo cristiano per bassissimi motivi di opportunità politica e pseudo-religiosa.
Per fortuna che il popolo locale ha da subito ovviato, facendo fiorire una devozione, osteggiata
dalla chiesa latina istituzionale.





Letture d'agosto: come gli ottocento di Otranto salvarono Roma

causa ferie, recuperiamo alcuni articoli interessanti usciti durante la nostra assenza.

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Letture d'agosto: come gli ottocento di Otranto salvarono Roma

Furono martirizzati cinque secoli fa nella regione più orientale d'Italia, la più esposta agli attacchi dei musulmani.

L'obiettivo del califfo Maometto II era di conquistare Roma, dopo aver già preso Costantinopoli. Ma lo fermarono dei cristiani pronti a difendere la fede col sangue
di Sandro Magister

ROMA, 14 agosto 2007 – Si legge nel Martirologio Romano, cioè nel calendario liturgico dei santi e beati aggiornato a norma
dei decreti del Concilio Vaticano II e promulgato da Giovanni Paolo II, che oggi la Chiesa ricorda e venera...
"... i circa ottocento beati martiri che a Otranto, in Puglia, incalzati dall'assalto dei soldati ottomani a rinnegare la fede,
furono esortati dal beato Antonio Primaldo, anziano tessitore, a perseverare in Cristo, e ottennero così con la decapitazione
la corona del martirio".
Il martirio di questi ottocento avvenne nell'anno 1480 e nel giorno della loro memoria liturgica, il 14 agosto.
Per loro, cinque secoli dopo, nel 1980, Giovanni Paolo II si recò a Otranto, la città italiana in cui furono martirizzati.
E quest'anno, il 6 luglio, Benedetto XVI ha autenticato definitivamente il loro martirio, con un decreto promulgato dalla
congregazione delle cause dei santi.
Ma chi furono gli ottocento di Otranto? E perché furono uccisi? La loro storia è di straordinaria attualità. Come tuttora
attuale è il conflitto tra islam e cristianesimo, nel quale essi sacrificarono la vita.
È quanto mostra nel racconto che segue – apparso il 14 luglio scorso su "il Foglio" – Alfredo Mantovano, giurista cattolico,
senatore della repubblica e conterraneo di quei martiri, nato nel sud della Puglia, la regione di Otranto:
"Pronti a morire mille volte per Lui..."
di Alfredo Mantovano
Il 6 luglio 2007 Benedetto XVI ha ricevuto il prefetto della congregazione per le cause dei santi, cardinale José Saraiva
Martins, e ha autorizzato la pubblicazione del decreto di autenticazione del martirio del beato Antonio Primaldo e dei suoi
compagni laici, “uccisi in odio alla fede” a Otranto il 14 agosto del 1480.
Antonio Primaldo è l’unico del quale è stato tramandato il nome. Gli altri suoi compagni di martirio sono ottocento ignoti
pescatori, artigiani, pastori e agricoltori di una piccola città, il cui sangue, cinque secoli fa, è stato sparso solo perché
cristiani.
Ottocento uomini, i quali hanno subito cinque secoli fa il trattamento riservato nel 2004 all’americano Nick Berg, catturato
da terroristi islamici in Iraq mentre svolgeva il suo lavoro di tecnico antennista e ucciso al grido di “Allah è grande!”. Il suo
boia, dopo avergli recisa la giugulare, passò la lama attorno al collo, fino a staccare la testa, e quindi la mostrò come un
trofeo. Esattamente come fece nel 1480 il boia ottomano con ciascuno degli ottocento otrantini.
* * *
L’esecuzione di massa ha un prologo, il 29 luglio 1480. Sono le prime ore del mattino: dalle mura di Otranto comincia a
scorgersi all’orizzonte e diventa sempre più visibile una flotta composta da 90 galee, 15 maone e 48 galeotte, con 18 mila
soldati a bordo. L’armata è guidata dal pascià Agometh; e costui è agli ordini di Maometto II, detto Fatih, il Conquistatore,
cioè il sultano che nel 1451, ad appena 21 anni, era salito a capo della tribù degli ottomani, a sua volta impostasi sul
mosaico degli emirati islamici un secolo e mezzo prima.
Nel 1453, alla guida di un esercito di 260 mila turchi, Maometto II aveva conquistato Bisanzio, la “seconda Roma”, e da quel
momento coltivava il progetto di espugnare la “prima Roma”, la Roma vera e propria, e di trasformare la basilica di San
Pietro in una stalla per i suoi cavalli.
Nel giugno 1480 valuta i tempi maturi per completare l’opera: toglie l’assedio a Rodi, difesa con coraggio dai suoi cavalieri,
e punta la flotta verso il mare Adriatico. L’intenzione è di approdare a Brindisi, il cui porto è ampio e comodo: da Brindisi
progetta di risalire l’Italia fino a raggiungere la sede del papato. Un forte vento contrario costringe però le navi a toccare
terra 50 miglia più a sud, e a sbarcare in una località chiamata Roca, a qualche chilometro da Otranto.
* * *
Otranto era – ed è – la città più orientale d’Italia. Ha un passato ricco di storia: le immediate vicinanze erano abitate
probabilmente già dal Paleolitico, certamente dal Neolitico. Era stata poi popolata dai messapi, stirpe che precedeva i greci,
quindi – conquistata da costoro – era entrata nella Magna Grecia e, ancora, era caduta nelle mani dei romani, diventando
presto municipio.
L’importanza del suo porto le aveva fatto assumere il ruolo di ponte fra oriente e occidente, consolidato sul piano culturale e
politico dalla presenza di un importante monastero di monaci basiliani, quello di san Nicola in Casole, di cui oggi restano un
paio di colonne, sulla strada che conduce a Leuca.
Nella sua splendida chiesa cattedrale, costruita fra il 1080 e il 1088, nel 1095 fu impartita la benedizione ai dodicimila
Crociati che, al comando del principe Boemondo I d’Altavilla, partirono per liberare e per proteggere il Santo Sepolcro di
Gerusalemme. Di ritorno dalla Terra Santa, proprio a Otranto san Francesco d’Assisi era approdato nel 1219, accolto con
grandi onori.
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* * *
Quando sbarcano gli ottomani, la città può contare su una guarnigione di soli 400 uomini in armi, e per questo i capitani del
presidio si affrettano a chiedere aiuto al re di Napoli, Ferrante d’Aragona, inviandogli una missiva.
Cinto d’assedio il castello, nelle cui mura si erano rifugiati tutti gli abitanti del borgo, il pascià Agometh, tramite un
messaggero, propone una resa a condizioni vantaggiose: se non resisteranno, uomini e donne saranno lasciati liberi e non
riceveranno alcun torto. La risposta giunge da uno dei maggiorenti della città, Ladislao De Marco: se gli assedianti vogliono
Otranto – fa sapere – devono prenderla con le armi.
Al nunzio è intimato di non tornare più, e quando arriva un secondo messaggero con la medesima proposta di resa, costui
viene trafitto dalle frecce. Per togliere ogni equivoco, i capitani prendono le chiavi delle porte della città e in modo visibile,
da una torre, le scagliano in mare, alla presenza del popolo. Durante la notte, buona parte dei soldati della guarnigione si
cala con le funi dalle mura della città e scappa. A difendere Otranto restano soltanto i suoi abitanti.
* * *
L’assedio che segue è martellante: le bombarde turche rovesciano sulla città centinaia di grosse palle di pietra (molte sono
ancora oggi visibili per le strade del centro storico della città). Dopo quindici giorni, all’alba del 12 agosto, gli ottomani
concentrano il fuoco contro uno dei punti più deboli delle mura: aprono una breccia, irrompono nelle strade, massacrano
chiunque capiti a tiro, raggiungono la cattedrale, nella quale in tanti si sono rifugiati. Ne abbattono la porta e dilagano nel
tempio, raggiungono l’arcivescovo Stefano, lì presente con gli abiti pontificali e con il crocifisso in mano. All’intimazione di
non nominare più Cristo, poiché da quel momento comanda Maometto, l’arcivescovo risponde esortando gli assalitori alla
conversione, e per questo gli viene reciso il capo con una scimitarra.
Il 13 agosto Agometh chiede e ottiene la lista degli abitanti catturati, con esclusione delle donne e dei ragazzi di età
inferiore ai 15 anni.
* * *
Così racconta Saverio de Marco nella "Compendiosa istoria degli ottocento martiri otrantini" pubblicata nel 1905:
“In numero di circa ottocento furono presentati al pascià che aveva al suo fianco un miserrimo prete, nativo di Calabria, di
nome Giovanni, apostata della fede. Costui impiegò la satannica sua eloquenza a fin di persuadere a’ nostri santi che,
abbandonato Cristo, abbracciassero il maomettismo, sicuri della buona grazia d’Acmet, il quale accordava loro vita, sostanze
e tutti qui beni che godevano nella patria: in contrario sarebbero stati tutti trucidati. Tra quegli eroi ve n’ebbe uno di nome
Antonio Primaldo, sarto di professione, d’età provetto, ma pieno di religione e di fervore. Questi a nome di tutti rispose:
'Credere tutti in Gesù Cristo, figlio di Dio, ed essere pronti a morire mille volte per lui'".
Aggiunge il primo dei cronisti, Giovanni Michele Laggetto, nella "Historia della guerra di Otranto del 1480" trascritta da un
antico manoscritto e pubblicata nel 1924:
“E voltatosi ai cristiani disse queste parole: 'Fratelli miei, sino oggi abbiamo combattuto per defensione della patria e per
salvar la vita e per li signori nostri temporali, ora è tempo che combattiamo per salvar l’anime nostre per il nostro Signore,
quale essendo morto per noi in croce conviene che noi moriamo per esso, stando saldi e costanti nella fede e con questa
morte temporale guadagneremo la vita eterna e la gloria del martirio'. A queste parole incominciarono a gridare tutti a una
voce con molto fervore che più tosto volevano mille volte morire con qual si voglia sorta di morte che di rinnegar Cristo”.
* * *
Agometh decreta la condanna a morte di tutti gli ottocento i prigionieri. Al mattino seguente, questi vengono condotti con la
fune al collo e le mani legate dietro la schiena al colle della Minerva, poche centinaia di metri fuori dalla città. Scrive,
ancora, De Marco:
“Ratificarono tutti la professione di fede e la generosa risposta data innanzi; onde il tiranno comandò che si venisse alla
decapitazione e, prima che agli altri, fosse reciso il capo a quel vecchio Primaldo, a lui odiosissimo, perché non rifiniva di far
da apostolo co’ suoi, anzi in questi momenti, prima di chinare la testa sul sasso, aggiungeva a’ commilitoni che vedeva il
cielo aperto e gli angeli confortatori; che stessero saldi nella fede e mirassero il cielo già aperto a riceverli. Piegò la fronte,
gli fu spiccata la testa, ma il busto si rizzò in piedi: e ad onta degli sforzi de’ carnefici, restò immobile, finché tutti non
furono decollati. Il portento evidente ed oltremodo strepitoso sarebbe stata lezione di salute a quegl’infedeli, se non fossero
stati ribelli a quel lume che illumina ognuno che vive nel mondo. Un solo carnefice, di nome Berlabei, profittò
avventurosamente del miracolo e, protestandosi ad alta voce cristiano, fu condannato alla pena del palo”.
Durante il processo per la beatificazione degli ottocento, nel 1539, quattro testimoni oculari riferirono il prodigio di Antonio
Primaldo, che restò in piedi dopo la decapitazione, e la conversione e il martirio del boia. Così racconta uno dei quattro,
Francesco Cerra, che nel 1539 aveva 72 anni:
“Antonio Primaldo fu il primo trucidato e senza testa stette immobile, né tutti gli sforzi dei nemici lo poter gettare, finché
tutti furono uccisi. Il carnefice, stupefatto per il miracolo, confessò la fede cattolica essere vera, e insisteva di farsi cristiano,
e questa fu la causa, perché per comando del bassà fu dato alla morte del palo”.
* * *
Cinquecento anni dopo, il 5 ottobre 1980, Giovanni Paolo II si reca a Otranto per ricordare il sacrificio degli ottocento.
È una splendida mattina di sole nella spianata sottostante il Colle della Minerva, dal 1480 chiamato Colle dei Martiri. Il
pontefice polacco coglie l’occasione per rivolgere un invito, attuale allora come oggi:
“Non dimentichiamo i martiri dei nostri tempi. Non comportiamoci come se essi non esistessero”.
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Il papa esorta a guardare oltre il mare, e richiama espressamente le sofferenze del popolo di Albania, al quale in quel
momento, sottoposto a una delle più feroci realizzazioni del comunismo, nessuno rivolgeva l’attenzione. Sottolinea che “i
beati martiri di Otranto ci hanno lasciato due consegne fondamentali: l’amore alla patria terrena e l’autenticità della fede
cristiana. Il cristiano ama la sua patria terrena. L’amore della patria è una virtù cristiana”.
* * *
Il sacrificio degli ottocento di Otranto non è importante soltanto sul piano della fede. Le due settimane di resistenza della
città consentono all’esercito del re di Napoli di organizzarsi e di avvicinarsi a quei luoghi, così impedendo ai 18 mila ottomani
di dilagare per la Puglia.
I cronisti dell’epoca non esagerano nell’affermare che la salvezza dell’Italia meridionale fu garantita da Otranto: e non solo
quella, se è vero che la notizia della presa della città inizialmente aveva indotto il pontefice allora regnante, Sisto IV, a
programmare il trasferimento ad Avignone, nel timore che gli ottomani si avvicinassero a Roma.
Il papa recede dall’intento quando il re di Napoli, Ferrante, incarica il figlio Alfonso, duca di Calabria, di trasferirsi in Puglia, e
gli affida il compito di riconquistare Otranto. Il che accade il 13 settembre 1481, dopo che Agometh era tornato in Turchia e
Maometto II era morto.
* * *
Ciò che rende questo straordinario episodio pieno di significato, anche per l’uomo europeo di oggi, è che nella storia della
cristianità non sono mai mancate testimonianze di fede e di valori civili, né sono mai mancati gruppi di uomini che hanno
affrontato con coraggio prove estreme. Mai però è accaduto un episodio di proporzioni collettive così vaste: un’intera città
dapprima combatte come può e tiene testa per più giorni all’assedio; e poi respinge con fermezza la proposta di abiurare la
fede. Sul Colle della Minerva, al di fuori del vecchio Antonio Primaldo, non emerge alcuna individualità, se è vero che degli
altri ottocento martiri non si conosce il nome: a riprova del fatto che non sono pochi singoli eroi, bensì è una popolazione
intera che affronta la prova.
* * *
Il tutto succede anche per l’indifferenza dei responsabili politici dell’Europa dell’epoca, di fronte alla minaccia ottomana.
Nel 1459 il papa Pio II aveva convocato a Mantova un congresso al quale aveva invitato i capi degli stati cristiani, e nel
discorso introduttivo aveva delineato le loro colpe di fronte all’avanzata turca. Ma benché in quella assise venga decisa la
guerra per contenere questa avanzata, poi non segue nulla, a causa dell’opposizione di Venezia e della noncuranza della
Germania e della Francia.
Dopo che i musulmani conquistano l’isola di Negroponte, appartenente a Venezia, una nuova alleanza contro gli ottomani
proposta da papa Paolo II viene fatta fallire dai signori di Milano e di Firenze, pronti ad approfittare della situazione critica
nella quale si trova la Serenissima.
Il decennio successivo, con Sisto IV che diventa pontefice nel 1471, registra l’omicidio di Galeazzo Sforza duca di Milano,
l’alleanza antiromana del 1474 fra Milano, Venezia e Firenze, la fiorentina Congiura dei Pazzi del 1478 e la guerra che ne
segue fra il papa e il re di Napoli, da una parte, e dall’altra Firenze, aiutata da Milano, da Venezia e dalla Francia... Il tutto
con grande vantaggio per gli ottomani, come scrive Ludwig von Pastor nella sua "Storia dei papi":
“Lorenzo il Magnifico, che aveva ammonito Ferrante di non prestarsi al gioco e alle aspirazioni degli stranieri, fu proprio lui a
sollecitare Venezia perché si accordasse con i turchi e li spingesse ad assalire le sponde adriatiche del regno di Napoli, al fine
di turbare i disegni di Ferdinando e del figlio. [...] La Serenissima, firmata nel 1479 la pace con i turchi aderì al disegno del
Magnifico nella speranza di riversare sulla Puglia l’orda musulmana che da un momento all’alto poteva abbattersi sulla
Dalmazia, dove sventolava il vessillo di san Marco. [...] E gli uomini di Lorenzo il Magnifico non esitarono neppure [...] a
sollecitare Maometto II a invadere le terre del re di Napoli, ricordandogli i vari torti subiti da questi. Ma il sultano non aveva
bisogno di questi consigli: da 21 anni attendeva il momento buono per sbarcare in Italia, e fino ad allora era stata proprio
Venezia, la diretta avversaria sul mare, ad impedirglielo”.
* * *
Se la storia non è mai identica a sé stessa, tuttavia non è arbitrario cogliere dai suoi sviluppi analogie e similitudini:
esattamente mille anni dopo il 480, anno della nascita di san Benedetto da Norcia – un umile monaco alla cui opera l’Europa
deve tanto della sua identità – altri umili interpretano l’Europa meglio e più dei loro capi, pronti a combattersi
reciprocamente piuttosto che a fronteggiare il nemico comune.
Quando gli otrantini si trovano di fronte alle scimitarre ottomane, non traggono dal disinteresse dei re il motivo per un
proprio disimpegno; forti della cultura nella quale sono cresciuti, pur se la gran parte di loro non ha mai imparato l’alfabeto,
sono convinti che resistere e non abiurare la fede costituisca la scelta più naturale. Si provi a parlare oggi con un nostro
soldato che è tornato dall’Iraq o dall’Afghanistan, dopo aver completato il periodo di missione: ciò che si ascolta con
maggiore frequenza è la sua meraviglia per le discussioni e per i contrasti infiniti sulla nostra presenza in quelle regioni. Per
questi soldati è naturale che si vada ad aiutare chi ha necessità di sostegno, e che si garantisca la sicurezza della
ricostruzione contro gli attacchi terroristici.
A Otranto nel 1480 nessuno ha esposto bandiere arcobaleno, né ha invocato risoluzioni internazionali, né ha chiesto la
convocazione del consiglio comunale perché la zona fosse dichiarata demilitarizzata; nessuno si è incatenato sotto le mura
per “costruire la pace”.
Per due settimane, i quindicimila abitanti della città hanno bollito olio e acqua, finché ne hanno avuti, e li hanno rovesciati
dalle mura sugli assedianti. E quando sono rimasti in vita soltanto ottocento uomini adulti e sono stati catturati, sono andati
incontro di loro volontà alla fine che oggi fanno in Iraq e in Afghanistan gli iracheni, gli afgani, gli americani, gli inglesi, gli
italiani, e altri ancora, quando vengono sequestrati dai terroristi. Ottocento teste sono state tagliate una dopo l'altra, senza
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che, in quell'epoca, dei cronisti politicamente corretti ne censurassero il racconto. Se oggi conosciamo bene questa
straordinaria vicenda, è perché chi l’ha descritta è stato oggettivo e rigoroso.
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Oggi l’Europa è attaccata non – come nell’episodio storico richiamato – da una compagine islamica istituzionalmente
organizzata, bensì da un insieme di organizzazioni non governative di ultrafondamentalisti islamici. Tenuta presente questa
differenza strutturale, non è fuori luogo chiedersi quanto c’è oggi in occidente, in Europa, in Italia, di quella “naturalità” che
ha portato una intera comunità a "difendere la pace della propria terra” fino al sacrificio estremo.
Il quesito non è fuori luogo, se si riflette che nella lotta al terrorismo un elemento realmente decisivo è la saldezza del corpo
sociale, o comunque di gran parte di esso, di fronte alla minaccia e ai modi più efferati di concretizzazione della stessa. La
memoria di Otranto non vale soltanto a sottolineare che vi sono momenti in cui resistere è un dovere, ma prima ancora a
ricordare a noi stessi chi siamo e da quali comunità discendiamo.
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È importante ricordare che nel 1571, novant’anni dopo il martirio di Otranto, una flotta di stati cristiani arresta l'avanzata
turco-islamica nel Mediterraneo al largo di Lepanto.
Lo scenario europeo non era migliorato: la Francia faceva lega con i principi protestanti tedeschi per contrapporsi agli
Asburgo e si compiaceva della pressione che i turchi esercitavano contro l’impero asburgico nel Mediterraneo. Parigi e
Venezia non avevano mosso un dito per difendere i Cavalieri di Malta dall’assedio navale condotto contro di loro da
Solimano il Magnifico. Questo vuol dire che la vittoria di Lepanto non è stata il frutto della convergenza di interessi politici;
al contrario, si è realizzata nonostante le divergenze. La straordinarietà di Lepanto sta nel fatto che nonostante tutto, per
una volta, principi, politici e comandanti militari hanno saputo accantonare le divisioni e unirsi per difendere l’Europa.
Questa unione si è realizzata soprattutto perché la politica europea del XVI secolo conservava una visione del mondo
sostanzialmente comune, fondata sul cristianesimo e il diritto naturale. E se oggi tante menti agnostiche abitano l'Europa in
piena libertà, è anche perché qualcuno a suo tempo ha speso tempo, energie e anche la propria vita per la buona causa, dal
momento che la vittoria degli altri avrebbe fatto cadere in mani musulmane l’Italia e forse anche la Spagna.
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Otranto insegna che una civiltà culturalmente omogenea – o anche solo in prevalenza animata da principi di realtà – è
capace di reagire in modo sostanzialmente compatto a difesa della propria pace, e lo fa senza calpestare la propria identità
e la propria dignità.
Oggi la cristianità romano–germanica come civiltà omogenea non esiste più. Né vale la tesi secondo la quale la cristianità,
finché è esistita, sarebbe stata una realtà speculare alla comunità islamica. Tre differenze strutturali impediscono qualsiasi
sovrapposizione o analogia rispetto alla "umma" islamica: nella cristianità vi è distinzione fra la sfera politica e quella
religiosa, vi è il fondamento del diritto naturale, vi è il rispetto della coscienza della persona umana. La riflessione su quanto
accaduto nel 1480 permette tuttavia di individuare tre capisaldi attorno ai quali rifare unità: e cioè il riferimento al diritto
naturale, la riscoperta delle radici cristiane dell’Europa e l’amor di patria, quest’ultimo esplicitamente evocato da Giovanni
Paolo II quale lascito dei martiri di Otranto.
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Nella Sacra Scrittura, quando Dio mette a conoscenza Abramo dell’intenzione di distruggere Sodoma e Gomorra (Genesi 18,
16 ss). Abramo tenta di intercedere e gli dice: “Davvero sterminerai il giusto con l’empio? Forse ci sono 50 giusti nella città:
davvero li vuoi sopprimere? E non perdonerai a quel luogo per riguardo ai cinquanta giusti che vi si trovano?”. Ricevuta
l’assicurazione da Dio che per riguardo a quei 50 giusti avrebbe perdonato l’intera città, Abramo va avanti, in una sorta di
ardita trattativa: e se ce ne fossero 45, 40, 30, 20, o soltanto 10? La risposta di Dio è la medesima: “Non la distruggerò per
riguardo a quei dieci”. Ma non se ne trovarono né 50, né 45, né 30, né 20 e neanche 10; e le due città furono distrutte.
Questa pagina della Scrittura è terribile per la sorte di annientamento che prospetta alle civiltà che rinnegano i valori
inscritti nella natura dell’uomo. È una pagina che è stata dolorosamente riletta tante volte, soprattutto nel XX secolo, di
fronte alle rovine del nazionalsocialismo e del socialcomunismo realizzato. Ma è altrettanto confortante per chi ritiene che la
centralità dell’uomo e la coerenza con i principi costituiscano non soltanto il punto di partenza, ma pure la strategia per
chiunque voglia fare politica.
* * *
Nel 1480 quel brano della Genesi trova un’applicazione particolare: l’Europa, ma in particolare la sua città più importante,
Roma, vengono risparmiate dalla distruzione non “per riguardo”, bensì “per il sacrificio” di 800 sconosciuti pescatori,
artigiani, pastori e agricoltori di una città marginale.
Colpisce che quanto accadde a Otranto non abbia avuto, e ancora non abbia, il riconoscimento diffuso che merita. La stessa
Chiesa ha atteso cinque secoli, e un pontefice straordinario come Karol Wojtyla, per proclamare beati quegli 800. Il decreto
del 6 luglio 2007 di Benedetto XVI autorizza a intendere il loro “martirio” come storicamente e teologicamente accaduto.
È la premessa per la loro canonizzazione, che seguirà quando sarà accertato il miracolo. La Chiesa, anche quella otrantina,
mantiene un doveroso riserbo sul punto, ma tutti sanno che l’intercessione degli 800 ha già procurato tanti miracoli; manca
solo il riconoscimento ufficiale.
I martiri di Otranto non hanno fretta: le loro ossa accolgono chi visita la cattedrale ordinate in più teche, nella cappella
situata alla destra dell’altare maggiore.
Ricordano che non solo la fede, ma anche la civiltà hanno un prezzo: un prezzo non monetizzabile, paradossalmente
compatibile con l’aver ricevuto la fede e la civiltà come doni inestimabili.
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Quel prezzo viene chiesto a ciascuno in modo differente, ma non ammette né saldi né liquidazioni.
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Il quotidiano da cui è stato ripreso il racconto:
> Il Foglio
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