venerdì 14 settembre 2007

12 settembre 1683 - perchè possiamo ancora essere liberi e parlare oggi

Oggi (forse ancora per poco?) possiamo ancora parlare liberamente solo grazie a queste persone.
Un popolo senza storia è un popolo senza futuro e non libero: non a caso in URSS e negli altri paesi comunisti la storia non fu insegnata, se non in forme addomesticate.

Tratto dal sito: http://cronologia.leonardo.it/battaglie/batta45.htm

I TURCHI A VIENNA

VIENNA: TOCCATA E FUGA DEI TURCHI
Imperiali, polacchi, bavaresi e sassoni guidati dal re di Polonia sorpresero e sconfissero gli Ottomani
dopo due mesi d'assedio. Alla prova del fuoco il principe Eugenio di Savoia.

Data: 12 settembre 1683
Luogo: VIENNA
Eserciti: TURCO e COALIZIONE AUSTRIACA
Contesto: Conquiste Musulmane
Protagonisti:
Kara Mustafà (Gran vizir turco)
Leopoldo I (Austria)
Carlo di Lorena (Austria)
Ernst Stahrenberger, (comandante dell'esercito austriaco)
Giovanni III Sobieski con 25.000 polacchi
Massimiliano Emanuele con 11.000 bavaresi
Principe EUGENIO Maurizio di Savoia Carignano
(VEDI BIOGRAFIA A PARTE)

Nel Terzo Centenario (1983)

"I nostri avi cavalcavano su queste strade che noi oggi spazziamo" - diceva la didascalia di una delle foto degli emigrati turchi, esposte nel 1983 nella mostra "I Turchi davanti a Vienna", al Museo del XX Secolo. E aggiungeva, con rara consapevolezza: "La colpa è nostra, non degli austriaci".

La mostra dei fotografi e dei pittori turchi era stata solo una delle molte esposizioni, degli spettacoli e dei concerti con i quali Vienna aveva celebrato il suo "Anno dei Turchi", nel terzo centenario dell'assedio e della battaglia finale (12 settembre 1683).

La battaglia


Alla fine del Seicento, l'Austria era alle corde. Leopoldo primo, sacro romano imperatore di un impero spopolato e dissanguato dalla guerra dei trent'anni, era anche sovrano diretto di territori sottoposti alla duplice minaccia dell'espansionismo di Luigi XIV e dell'invasione turca. Di contro, l'impero turco dominava il Mediterraneo dopo aver conquistato Candia ai Veneziani con una guerra ventennale, finita nel 1669; e a nord si estendeva fino all'Ungheria, che nel 1526 era stata divisa fra gli Asburgo e il Sultano cui toccò anche Buda.

Già vent'anni prima, nel 1663, i Turchi avevano invaso l'Ungheria asburgica, approfittando di un'insurrezione della nobiltà ungherese, finanziata da Luigi XIV, e avevano cominciato la marcia su Vienna: ma erano stati sconfitti da Raimondo Montecuccoli a San Gottardo sul Raab. Nel 1678 i nobili ungheresi insorsero nuovamente contro l'imperatore. Mustafà IV, il sultano che da pochi anni aveva debellato i Veneziani a Candia, poteva nuovamente pensare all'Europa centrale come a una terra di conquista, della quale Vienna era la porta.

Per la conquista di Vienna, il sultano delegò il comando militare al gran vizir Kara Mustafà che, nel maggio 1683, radunò le truppe musulmane nella pianura di Belgrado: duecentomila uomini che si muovono verso l'Austria avendo all'avanguardia i Tartari e facendosi seguire dagli harem, dagli arredi per le tende dei generali, dalle salmerie con le provviste e migliaia di animali. Ci vogliono due mesi per arrivare davanti a Vienna: due mesi terribili, durante i quali l'Austria è messa a ferro e fuoco, soprattutto dai tartari che confermano la loro fama sanguinaria. Gli austriaci si vendicano appena possono: quando gli assediati riescono a fare prigionieri, o li spellano vivi, come i Turchi avevano insegnato a Candia, o li decapitavano per buttare le teste sugli altri assalitori.

L'imperatore Leopoldo aveva lasciato Vienna poco prima dell'arrivo dei Turchi, per organizzare la lega dei soccorsi. Nella capitale erano rimasti pochi abitanti, ma vi si erano rifugiati molti contadini: in tutto circa 70 mila civili, con dieci o undicimila soldati, comandati dal conte Ernst Stahrenberger, ai quali nella difesa si aggiunsero studenti e cittadini. Fra questi, sono rimasti celebri il borgomastro Liebenberg e l'architetto Georg Rimpler, reduce dalla guerra di Candia, che a Vienna, durante l'assedio, fu il sovrintendente delle fortificazioni.

Dall'altra parte, nel suo padiglione, circondato da fontane e giochi d'acqua, al centro di un'immensa città militare di venticinquemila tende, situata fra il Wienfluss e l'Alserbach, Kara Mustafà compie due errori fatali. Il primo errore fu di non forzare l'assedio, nonostante l'enorme disparità di forze: il gran vizir decide un assedio di logoramento, contando di prendere la città per fame e di trovarne intatte le ricchezze. Fa dirigere un certo numero di attacchi contro il Burgbastion e il Loebelbastion, che sorgono su un terreno asciutto, dove è possibile la posa delle mine, secondo la tecnica già sperimentata con successo a Candia. Ma conta di più sulla dissenteria e sulle altre malattie che presto cominciano a decimare la popolazione e la guarnigione di Vienna.

Ma da Passau, intanto, l'imperatore Leopoldo, sostenuto dal papa Innocenzo XI, riesce a stringere un'alleanza con alcuni principi cristiani, che in settembre arrivano in Austria: Carlo di Lorena con l'esercito imperiale di ventunmila soldati, Giovanni III Sobieski con venticinquemila polacchi, il principe elettore Massimiliano Emanuele con undicimila bavaresi, ai quali si aggiunge anche un piccolo esercito sassone: in tutto circa settantamila soldati che, dopo una lunga trattativa, vengono messi sotto il comando unico del re di Polonia.

L'esercito cristiano comandato da Giovanni Sobieski arriva così nelle vicinanze di Vienna, mentre sta per scadere il secondo mese dell'assedio, sempre più duro. Qui si rivela, il secondo, decisivo errore di Kara Mustafà: aver trascurato di occupare le colline del Wienerwald a nord di Vienna. A Klosterneuburg e a Kahlenberg, due colli a dieci-dodici chilometri dalla capitale, si raduna l'esercito di soccorso. A Klosterneuburg c'è un'antica abbazia degli Agostiniani, a Kahlenberg una piccola cappella: in quest'ultima, la mattina dell'11 settembre, viene celebrata una messa alla quale il re polacco partecipa come chierico.

Nella notte fra l'11 e il 12 settembre le truppe cristiane scendono le colline sorprendendo i Turchi, tanto più numerosi: la battaglia dura dodici ore, fino alle cinque pomeridiane del 12 e, grazie anche ad una manovra diversiva compiuta da Carlo di Lorena, finisce con la disfatta totale dei Turchi. L'armata sconfitta, nella fuga precipitosa, lascia nelle mani degli imperiali le tende, gli harem, le bandiere, moltissime armi, tonnellate di rifornimenti e migliaia di bufali, buoi, cammelli, muli e pecore.

Il sigillo d'oro di Kara Mustafà e altri millecinquecento oggetti provenienti dal bottino, sono ora esposti allo Historische Museum e alla Kunstlerhaus; le armi conquistate sono in mostra allo Heeresgeschilichtliches Museum. Quanto al comandante in capo dei Turchi, va detto che durante la ritirata dall'Austria, per ordine del Sultano, Kara Mustafà pagò la sconfitta con la morte.
Se dobbiamo credere alla tradizione, la vittoria sui Turchi ha lasciato diverse tracce nel costume austriaco: le brioches a mezzaluna, le teste di turco nei giardini delle villette borghesi, l'uso del caffè conquistato agli assedianti e subito apprezzato dagli ex assediati. Ma forse in realtà il caffè arrivò in Austria, come altrove, attraverso i commercianti veneziani: ed è certamente leggenda la storiella dell'armeno Koltschitzky che, in premio ai suoi servizi d'informatore durante l'assedio, avrebbe poi ottenuto il permesso imperiale di aprire la prima Koffeshaus.

Fra le varie mostre con le quali Vienna aveva celebrato la sua salvezza del 1683, ce n'è stata anche una ("Il prodigioso accampamento di guerra e di vittoria del principe Eugenio di Savoia"), nel castello del Belvedere, costruito per conto del condottiero. Questo omaggio era giustificato dal fatto che il giovane Eugenio, destinato a diventare vincitore dei Turchi a Belgrado, fece la prima prova d'armi alla battaglia del 12 settembre.

Nel 1683, il PRINCIPE EUGENIO aveva vent'anni: era figlio di Eugenio Maurizio di Savoia Carignano, conte di Soissons, generale di Luigi XIV, e di Olimpia Mancini, nipote del cardinale Mazarino, amica d'infanzia del re di Francia. In quell'anno Eugenio, orfano di padre e con la madre esiliata a Bruxelles per intrighi di corte, aveva chiesto al re di poter entrare nell'esercito. Ricevuto un rifiuto (e Luigi XIV avrebbe poi avuto molte occasioni per pentirsene), Eugenio fuggì da Parigi con l'amico principe Conti che, raggiunto e minacciato dagli emissari del re, a Francoforte decise di tornare in Francia. Eugenio invece, orgogliosamente, continuò la fuga: andò a Passau e si presentò all'imperatore, che lo aggregò alle truppe del duca Carlo di Lorena.

Come ufficiale di quest'ultimo, il giovane Eugenio partecipò quindi alla battaglia per la liberazione di Vienna. Poi, divenuto colonnello dei dragoni, prese parte alle successive guerre contro i turchi e, in particolare, alla presa di Ofen in Ungheria (1686) e alla prima conquista di Belgrado (1688). Molti anni più tardi, nel 1717, la seconda conquista di Belgrado lo avrebbe visto protagonista come comandante in capo dell'esercito asburgico, prima accerchiante e poi accerchiato, e tuttavia alla fine vittorioso: il cosiddetto "miracolo di Belgrado", che fu una straordinaria vittoria del Prinz Eugen e l'inizio della fine per l'Impero turco.


di LUDOVICO MARCHI
Bibliografia
* Gli Asburgo, di Toti Celona, vol. 2° della collana "Le grandi famiglie d'Europa" - Ed. Mondadori, 1972
* Eugenio di Savoia, di Wolfgang Oppenheimer - Editoriale Nuova, 1979

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