Com'è dura in Italia diventare cristiani
il tiepismo delle gerarchie cattoliche, che giustamente viene visto come debolezza dai musulmani.
Ben altro atteggiamento avrebbero tenuto San Pio V, e Innocenzo XI.
n. 173 del 2007-07-24 pagina 1
Com'è dura in Italia diventare cristiani
di Maria Giovanna Maglie
Giuseppe e Anna sono i nomi della nuova vita con i quali non li conosce praticamente nessuno, soprattutto non i loro familiari, non gli amici della comunità qui in Italia, non i parenti in Algeria. Quando sono stati battezzati, come religione precedente hanno scritto «ateo», e sulla riservatezza di quei registri Giuseppe e Anna contano molto, anche se non sempre hanno apprezzato l'atteggiamento di distacco prudente tenuto dalla Chiesa nei confronti dei musulmani convertiti al cattolicesimo nel nostro Paese. «Benedetto XVI ci aiuterà - dice Anna - se ci sentissimo più appoggiati, forse oseremmo uscire dal buio. Mi dispiace se ti sembriamo due vigliacchi, ma l'apostasia è un pericolo mortale, un marchio che ti accompagna. Non si abbandona la religione del Profeta». Seguono regole rigide e forse inutili. Non vanno più di due volte nella stessa chiesa, mai alla stessa ora, non possiedono né indossano alcun segno di appartenenza. È vita questa? Loro si dichiarano più soli eppure molto più sereni. A chi scrive sembra eroico il fatto che due persone convertite al cattolicesimo, col governo che ci ritroviamo oggi in Italia, con le leggi che non li tutelano, siano venuti a incontrare una giornalista che non può offrire loro altra garanzia che la buona fede e la compassione.
Il problema annoso della difficoltà delle conversioni, e non nei Paesi islamici, dove è reato, non nei Territori Palestinesi, dove una coltre di nebbia e di silenzio copre la condizione infame dei cristiani, ma proprio qua, nell'Italia dove tutto viene ridotto al rito siculo pakistano, dovrebbe fare un rumoroso scandalo. Niente. Sollevato da articoli e da libri negli ultimi anni, Magdi Allam e Giorgio Paolucci, per citarne due, con risposte apparse spesso tiepide da parte dell'arcivescovo Michael Fitzgerald, ex presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso (ora nunzio al Cairo) in questi giorni, e di fronte a due persone come queste, torna l'interrogativo assurdo. Perché in una democrazia avanzata, a maggioranza cattolica, un immigrato che scelga la religione del Paese che lo ha accolto, che segua la libertà di coscienza, deve nascondersi e deve tremare per il resto della sua vita, quando in Marocco il re accetta le nuove presenze cattoliche?
Il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, ha scelto di far passare tutti i finanziamenti alle comunità provenienti da Paesi islamici per le moschee. I praticanti che andavano regolarmente in moschea, fino a ieri, erano il dieci per cento, ma le moschee sono controllate al novanta per cento dai fondamentalisti, dunque sono centri di educazione come minimo all'odio verso il Paese ospitante. Se i corsi di lingua, la formazione al lavoro, il flusso di denaro, perfino i centri commerciali, come si progetta per la nuova moschea di Bologna, vanno alle moschee, è lì che finirà la maggioranza degli immigrati, più per obbligo che per scelta. Il controllo religioso è destinato a crescere rapidamente, tant'è vero che all'improvviso l'Ucoii ha firmato la Carta dei valori proposta dalla Consulta che teneva in ostaggio da quattro mesi. È l'odore dei soldi.
Non basta, il ministro degli Interni, Giuliano Amato, non si è trattenuto meno di una settimana fa dall'affermare che in Italia siano in troppi a respingere l'Islam in nome dell'identità cristiana, mentre anche le parrocchie dovrebbero discutere al loro interno e operare per l'integrazione. «Sono troppi i miei concittadini - ha detto Amato - che in nome dei valori cristiani respingono gli altri». Qualche dubbio che, con l'aria che tira, i forse cinquemila musulmani convertiti d'Italia, forse di più, visto che vivono nelle catacombe, tremino?
«Dobbiamo avere il coraggio di assistere queste persone e dobbiamo smetterla con una certa coscienza cristiana insicura di sé», ha detto Benedetto XVI. Dopo aver allontanato l'arcivescovo Fitzgerald, il Vaticano aveva affidato il Dialogo interreligioso alla Cultura. Quindici giorni fa però il Papa ha riconosciuto la gravità e l'urgenza specifica del problema, ha ordinato che sia ripristinato il Consiglio, e lo ha affidato a un personaggio di primo livello come il cardinale Touran. Il diplomatico dovrà occuparsi non solo di Egitto o Nigeria, gli toccherà bussare alla Farnesina.
Maria Giovanna Maglie
Nessun commento:
Posta un commento