martedì 24 luglio 2007

Ferrero paga i corsi agli islamici ma si dimentica di avvertirli



n. 173 del 2007-07-24 pagina 7

Ferrero paga i corsi agli islamici ma si dimentica di avvertirli
di Emanuela Fontana

da Roma

«Non siamo stati informati, non sappiamo niente né dei corsi pilota alla moschea di Roma, né di un bando da dieci milioni di euro». Rispondono praticamente tutti così dalle comunità musulmane d’Italia, e anche dalla Consulta islamica, l’organismo che collabora con il governo per cercare una piena integrazione degli immigrati. E parlano con un certo disappunto, perché nel progetto «Laboratorio cittadinanza» del ministro Paolo Ferrero nessuno è stato coinvolto: «Incredibile - mostrano stupore al telefono - se il governo non avvisa noi, che senso ha organizzare quest’iniziativa...».
Il piano del ministero della Solidarietà Sociale di Rifondazione prevede uno stanziamento di 10 milioni di euro per corsi di italiano ed educazione civica per extracomunitari. Ed è stato anticipato da un corso sperimentale alla Grande Moschea di Roma e alla moschea della Magliana, svolto con la rivista «Confronti». Da aprile a luglio quindici donne e venticinque uomini musulmani, in classi rigorosamente separate, hanno partecipato alle lezioni. Il ministro Ferrero pensa di far partire un migliaio di corsi per uno stanziamento di circa 10mila euro a testa.
Ma i corsi per i musulmani sono partiti a Roma senza il coinvolgimento delle comunità musulmane e dei «collaboratori» del governo nella Consulta. «Sinceramente nessuno mi ha informato - dice al Giornale Kamel Belaitouche, presidente dell’Ainai, l’associazione degli immigrati nordafricani in Italia, che in passato ha rappresentato tutte le associazioni italiane presso la Ue -. Informare è d’obbligo quando ci sono di mezzo i soldi pubblici. Ma con chi hanno fatto questi corsi - domanda -, chi erano gli insegnanti, chi ha partecipato? Il governo deve informare, ci sono associazioni che si occupano di queste cose e che muoiono per mancanza di finanziamenti».
Dall’associazione degli egiziani di Roma, centro, sud e isole, il responsabile, Mahomud Elshishtawy, conferma: «Nessuno ci ha messi al corrente di questi corsi pilota in moschea, né dal ministero, né dalla moschea». Non sono stati interpellati nemmeno all’associazione libanese Giarre, dove precisano però di essere «al di fuori di ogni politica e di ogni religione». Dall’associazione Al Madar raccontano di aver appreso del progetto pilota «in via informale», ma difendono la Grande Moschea: «Hanno tutta l’esperienza per fare certi tipi di corsi».
Anche per la Consulta islamica il progetto è una novità appresa dalla stampa: «A livello di consulta non ci è stato detto niente dal ministero, ma neanche come comunità - spiega Souad Sbai, direttrice del mensile Al Maghrebiya e presidentessa dell’associazione delle donne marocchine in Italia - e ci dispiace. Il nostro giornale tra l’altro pubblicizza tantissimi corsi».
Gulshan Jivnaj Antivalle, nata in Kenia, presidente della comunità ismailita e componente della Consulta, risponde allo stesso modo: «Non lo sapevo e non so chi abbiano coinvolto...».
Un primo chiarimento del governo (sull’intero progetto, non sul corso pilota di Roma) è arrivato in aula dal sottosegretario alla Solidarietà sociale, Cristina De Luca, che ha risposto a un’interpellanza del senatore Gaetano Quagliariello di Forza Italia: «L’obiettivo - ha spiegato - è quello di poter attivare corsi per circa 20.000-25.000 studenti. Saranno attuati dalle Regioni attraverso accordi di programma, dagli enti locali e dalle associazioni iscritte nel registro previsto dal Testo unico delle leggi sull’immigrazione». Il bando scatterà a settembre. Dalle comunità si chiede la massima vigilanza. E soprattutto l’informazione.

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